MICHAEL KENNA

IL FIUME PO

Nella vita incontriamo migliaia di persone, ma stringiamo amicizia solo con poche. Perché? Cosa forma i legami di amicizia e amore? Come fa un estraneo a trasformarsi in un amico? Succede. La mia adorata moglie Mamta, è nata e cresciuta a cinquemila miglia dalla mia casa di famiglia. Quando ci siamo incontrati, ci eravamo trasferiti dai nostri Paesi di origine e vivevamo con partner diversi a cinquemila miglia di distanza l’uno dall’altro. Penso che la gratitudine per queste connessioni sia più importante del cercare di capire perché accadono tali cose inspiegabili. Col fiume Po ci siamo conosciuti per la prima volta nel 2007, quando sono stato invitato a Reggio Emilia dal curatore Sandro Parmiggiani. Negli anni successivi ho fotografato il territorio reggiano e i miei scatti sono diventati una mostra esposta nel 2010. La mia guida all’epoca era Mauro Lorenzini. Già allora speravo che un giorno sarei tornato in quei luoghi. Quando l’ho fatto, anni dopo, mi sono sentito come di fronte a un vecchio e saggio amico. (…) Il Po è antico e io sono solo un visitatore fugace. Ho sempre amato la citazione di Eraclito che dice Nessun uomo ha mai camminato due volte nello stesso fiume perché non è lo stesso fiume e non è lo stesso uomo. Mi piace applicare questi concetti alla fotografia. Niente, me compreso, è mai lo stesso. Il fiume scorre che io ci sia o no, ma penso che ci sia una sorta di scambio di energia in ogni incontro. Il Po mi ha sicuramente influenzato e cambiato. Non sono così sicuro di come io abbia cambiato il Po, se non fotografandolo ed esponendo le opere (…) Preferisco che le mie fotografie siano più vicine alla poesia che ai testi concreti e il colore è troppo specifico per il modo in cui lavoro. Vediamo a colori tutto il tempo, invece il bianconero è una riduzione essenziale della stimolazione sensoriale che consente alla nostra immaginazione di lavorare di più. Mi piace leggere poesie giapponesi haiku, che suggeriscono una grande quantità di informazioni in poche parole. Come questi componimenti brevi non riprendo tutti i dettagli di una scena, né cerco di fornire una descrizione accurata di ciò che c’è. Suggerisco invece ciò che non riesco a vedere, ma immagino possa esserci: strati sottostanti nascosti, nella nebbia e nell’oscurità, o presenti oltre i bordi del fotogramma.

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MICHAEL KENNA

THE PO RIVER

In life, we meet thousands of people, but we only form friendships with a few. Why? What creates bonds of friendship and love? How does a stranger turn into a friend? It just happens. My beloved wife, Mamta, was born and raised five thousand miles away from my family home. When we met, we had moved away from our countries of origin and were living with different partners, five thousand miles apart from each other. I believe that feeling grateful for these connections is more important than trying to understand why such inexplicable things happen. I first got to know the Po River in 2007, when I was invited to Reggio Emilia by curator Sandro Parmiggiani. In the following years, I photographed the Reggio Emilia region, and my shots became part of an exhibition displayed in 2010. My guide at that time was Mauro Lorenzini. Even then, I hoped that one day I would return to those places. When I did, years later, it felt like encountering an old and wise friend. (…) The Po is ancient, and I am just a fleeting visitor. I have always loved Heraclitus’ quote that says, *No man ever steps in the same river twice, for it is not the same river and he is not the same man.* I like to apply these concepts to photography. Nothing, including myself, is ever the same. The river flows whether I’m there or not, but I think there is a sort of exchange of energy in every encounter. The Po has certainly influenced and changed me. I’m not so sure how I have changed the Po, other than by photographing it and displaying the works (…) I prefer my photographs to be closer to poetry than to concrete texts, and color is too specific for the way I work. We see in color all the time; black and white, however, is an essential reduction of sensory stimulation, which allows our imagination to work more. I enjoy reading Japanese haiku poems, which suggest a great amount of information in a few words. Like these short compositions, I don’t capture every detail of a scene, nor do I try to provide an accurate description of what’s there. Instead, I hint at what I can’t see, but imagine might be there: hidden underlying layers, in the fog and darkness, or present beyond the edges of the frame.